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Intervista a Nuccia Gatta

Redazione On Medicine

Intervista alla nostra Presidente Nuccia Gatta sul deficit di Alfa1 antitripsina e sul ruolo della Associazione.

Signora Gatta, cos’è il deficit di alfa1-antitripsina?

Il deficit di alfa1-antitripsina è una condizione genetica rara che predispone alla manifestazione, solitamente in età adulta, di alcune patologie a carico dei polmoni e del fegato, quali enfisema e cirrosi; in età pediatrica si possono avere manifestazioni solo a livello epatico.
È il disordine genetico più diffuso al mondo, e anche il meno diagnosticato. La prevalenza di questa condizione ha un gradiente geografico Nord-Sud. Infatti, la prima diagnosi, che risale al 1963, è stata fatta in Svezia, e sembra che la sua distribuzione abbia seguito i flussi migratori: passaggi dai valichi montani, dai ghiacci della Groenlandia verso il continente americano, e così via.
Dietro questo gradiente si cela probabilmente una difficoltà a formulare una diagnosi corretta: per esempio, il 2% dei soggetti con BPCO presenta un deficit di alfa1-antitripsina, ma raramente i medici sospettano la patologia perché la conoscono poco; questo impedisce a questo 2% di pazienti di accedere alla terapia sostitutiva. Così come in caso di rialzo delle transaminasi non sostenuto da virus, alcol ecc. potrebbe essere da correlare al deficit di alfa1-antitripsina ed è quindi indicato un dosaggio dell’enzima.

Quali sono le conseguenze del deficit di alfa1-antitripsina?

Il deficit di alfa1-antitripsina si ripercuote sul polmone causando manifestazioni cliniche quali asma, bronchiti croniche ostruttive (BPCO), enfisema polmonare giovanile o bronchiectasie.
Le conseguenze a livello epatico sono invece correlate all’accumulo di alfa1-antitripsina nel fegato; questo provoca un aumento delle transaminasi e una progressiva compromissione dell’organo che può portare alla necessità di trapianto.
L’insorgenza delle conseguenze del deficit dipende dal tipo di mutazione da cui un individuo è affetto e dalla concomitanza di fattori predisponenti, quali l’abitudine al fumo, il consumo di alcolici, l’esposizione ad agenti irritanti, l’esposizione al fumo passivo e da combustione, ecc; le varianti riconosciute sono numerose, e condizionano la gravità del quadro clinico a seconda che si verifichi solo una disfunzione dell’enzima, o un suo accumulo.
Le varianti genetiche principali sono la S e la Z; peculiarità del nostro territorio è la presenza di numerose varianti rare. Da qui l’esigenza di eseguire un test genetico approfondito con la sequenza per la ricerca delle varianti più rare da eseguirsi in un laboratorio specializzato come quello del Policlinico San Matteo di Pavia.

In che occasione le è stato diagnosticato questo disordine genetico?

Io sono una “relative”, ovvero mi è stata fatta la diagnosi in occasione di uno screening familiare conseguente alla scoperta dell’anomalia genetica in una zia, deceduta a 41 anni per grave insufficienza respiratoria causata dal deficit di alfa1-antitripsina. Mia madre è risultata affetta da deficit severo, cioè con entrambi gli alleli (paterno e materno, ZZ) deficitari; era anche lei sintomatica, ma i suoi disturbi erano stati correlati a un problema di allergia. Io, così come mio fratello, sono risultata affetta da deficit severo (ZZ) dato che, si è scoperto dopo, anche mio padre era portatore della mutazione (MZ). Tra me e mio fratello lo stile di vita ha fatto la differenza: io a 58 anni non ho ancora manifestato sintomi importanti, grazie a uno stile di vita consapevolmente prudente nei confronti dei fattori di rischio per le patologie polmonari; mio fratello, fumatore, pur essendo più giovane di me è già in terapia sostitutiva e soffre di enfisema polmonare.
Sottolineo che non è detto che un soggetto che ha un deficit di alfa1-antitripsina anche severo, come il mio, sviluppi la patologia, o che sviluppi una forma importante, tale da portarlo alla necessità di un trapianto di fegato o di polmoni.

Quando si rende necessaria la terapia sostitutiva con alfa1-antitripsina?

Ci sono dei parametri di riferimento, come il FEV1 (volume espiratorio massimo nel 1° secondo) e la DLCO (diffusione alveolo-capillare del monossido di carbonio) che permettono di calcolare il declino annuale della funzione respiratoria e valutare l’eventuale indicazione alla terapia sostitutiva.
La terapia sostitutiva non è indicata per l’epatopatia correlata al deficit dell’enzima, e al momento non è disponibile alcun trattamento farmacologico specifico.

Come è nata l’idea di fondare un’associazione pazienti?

Quando mi è stato diagnosticato il deficit, a metà degli anni ’90, mi sono recata a Brescia dallo pneumologo che aveva preso in carico mia mamma che aveva organizzato una riunione dedicata ai pazienti affetti dal disturbo. Nel corso dell’incontro lo specialista ci aveva informato della presenza, negli Stati Uniti, di associazioni che riunivano i pazienti per aiutarli a gestire la patologia.
Ho deciso così di intraprendere un’iniziativa analoga, riuscendo a contattare nel tempo i partecipanti a quella riunione; così, dal febbraio 2001 esiste l’Associazione pazienti con deficit di alfa1-antitripsina con sede a Sarezzo (BS). Io lavoravo come infermiera in un altro reparto, e sono poi andata a lavorare nel Centro di riferimento degli Spedali Civili di Brescia. Questo mi ha permesso di seguire i pazienti dal punto di vista sia clinico sia associativo. La presenza dell’Associazione è stata di stimolo per l’afflusso di pazienti, e il Centro è rapidamente diventato uno dei principali punti di riferimento italiani in termini di casistica e di eccellenza.

Qual è il principale scopo che si propone l’associazione?

L’Associazione, che riunisce non solo pazienti ma anche medici, familiari e caregiver, si prefigge la tutela a tutto campo del paziente, accompagnandolo nella consapevolezza della propria condizione genetica rara e durante il percorso delle sue manifestazioni cliniche. Incentiva inoltre la promozione nell’ambiente medico relativa alla conoscenza della patologia e l’esecuzione dell’esame per la sua diagnosi, per la quale è sufficiente un’elettroforesi proteica. Già da quella, infatti, è possibile sospettare la presenza di un deficit, che deve essere poi confermato dal dosaggio dell’enzima e, successivamente, dal test genetico.
Per questo motivo cerchiamo di essere molto presenti a livello universitario, per partire dalla formazione dei giovani medici e consapevolizzare i medici di medicina generale sul peso di sintomi ricorrenti, come la tosse, o sul ricorrere di patologie come la bronchite, o sulla presenza di epatopatie non spiegabili che possono correlarsi alla presenza di un deficit.
L’Associazione si prodiga inoltre per assicurare ai pazienti l’assistenza di cui hanno bisogno facendo da ponte tra questi, i medici e le aziende farmaceutiche e istituzioni. L’organo informativo Alfabello aggiorna i soci sull’argomento, veicolando notizie sulle iniziative e i progressi nell’ambito della ricerca, nonché realizzando materiali educazionali mirati.