Alan De Slucca

È straordinario pensare che da quest’anno ho passato più tempo con “loro” che con i miei.
Se me l’avessero detto a 15 anni che questi due mi avrebbero portato fin qui, difficilmente ci avrei creduto.
È forse anche per questo che ho iniziato a fidarmi più dall’istinto invece che dalla ragione, lo stesso istinto che mi ha reso forte fino a quel giorno tanto atteso, quello del Trapianto.
Si, perché a 15 anni ho dovuto affrontare una bella sfida, sopratutto perché a quei tempi sentir parlare di trapianto era davvero un tabù.
Nei mesi successivi alla mia nascita si accorsero che in me c’era qualcosa che non andava, il colorito giallo preoccupava i medici qui a Trento, tanto che dopo qualche mese di indagini mi trasferirono a Padova, in un centro pediatrico all’avanguardia.
Mi diagnosticarono una malattia rara, il deficit di alfa-1 antitripsina.
Le notizie non erano confortanti, tanto che alla mia famiglia dissero che l’aspettativa di vita era piuttosto breve, “probabilmente Alan raggiungerà la prima adolescenza a fatica”.
Ovviamente io non ne sapevo nulla, continuai a vivere la mia vita, cercando di essere normale ma sapendo di essere diverso, i frequenti controlli ospedalieri, le limitazioni nella dieta e non solo, anche nelle attività sportive mi hanno sempre un po fatto sentire “fuori dal coro”.
Una domanda era solita accompagnarmi durante i periodi più difficili… “Perché a me?”
Arrivato alla soglia dell’adolescenza le prime avvisaglie del peggioramento calarono come una mannaia sul mio stato di salute.
Un giorno di febbraio mi accorsi che nel mio corpo qualcosa stava andando storto, urinavo sangue, o almeno, a me sembrava, perché il colorito era davvero rosso scuro…
Ai tempi pensai ad una emorragia interna, perché soffrendo anche di una importante piastrinopenia il mio corpo aveva molte difficoltà a coagulare e “riparare” le ferite e gli ematomi.
Di fretta corsi in ospedale e mi diagnosticarono una Glomerulonefrite membrano-proliferativa, una malattia che portava al rapido cedimento dei miei reni, tanto che venni subito inserito in lista dialisi e iniziai i trattamenti già qualche settimana più tardi.
Interminabili ore passate nel letto attaccato ad una macchina che non fa altro che filtrarti il sangue e ridonartelo più pulito e “detossinizzato”.
Da questo episodio, iniziò quello che potrei definire il mio piccolo calvario…
Sì, perché il mio deficit di alfa-1 stava iniziando a presentare il conto, una malattia che solitamente colpisce fegato e polmone, invece stava prepotentemente distruggendo i reni oltre che il fegato.
I medici dell’ospedale di Trento capirono che si era arrivati al limite, quando un giorno entrai in coma.
Il coma, che nel mio caso era coma epatico o anche encefalopatia, era il segno tangibile che la “sporcizia” che si accumulava nel mio sangue non veniva più filtrata neanche dal fegato e per tanto era necessario intervenire immediatamente.
Il mese successivo, ad Aprile ero a Padova nuovamente, per una visita speciale, quella fatta con la Dottoressa Burra che mi fece successivamente ricoverare nel suo reparto di Gastroenterologia dove per un mese e mezzo fui sottoposto ad ogni tipo di esame d’indagine, il tutto propedeutico ad una sola cosa: Il trapianto.
Lui era la soluzione, ed andava fatto subito, tanto che fui inserito nella lista Italiana nelle prime posizioni.
Passato un altro mese il 22 maggio mi telefonarono chiedendomi di recarmi con urgenza a Padova perché c’era la possibilità di avere due organi per me.
Il 23 maggio dopo circa 17 ore di sala operatoria ne uscivo con due nuovi organi.
Il mio risveglio fu molto confuso, ma per nulla ansiogeno, come invece lo era stato tutto il tempo passato.
Aprire gli occhi, sapere di averli aperti, sapere di essere ancora li mi ha dato una forza enorme.
Non mi accorgevo di nulla di quello che stava intorno a me, ma l’unico pensiero che avevo era, uscire al più presto da un reparto, per approdarne ad un altro, perché già conoscevo la “cavalcata” verso la vittoria, verso casa.
Rianimazione, Chirurgia dei Trapianti, Gastroenterologia, e dopo appena 20 giorni ero fuori dall’ospedale, leggero, più di una piuma, con una gioia che non si può descrivere a parole.
Salgo sull’auto, la Pegueot 107 XN di mia madre e ricordo benissimo la frase che gli dissi quando imboccammo l’autostrada A4 verso Trento… “Mamma, ce l’abbiamo fatta!!!”
I giorni successivi sono stati difficili, hai presente quando hai la ferrari in garage e non la puoi guidare?
6 mesi di mascherina, 6 mesi di ristretti contatti con le persone, la voglia di uscire, di guardare il mondo con occhi diversi.
Ora che il destino ha deciso diversamente per me inizio una nuova vita, una vita che però non avevo programmato, non avevo mai pensato “Alan, cosa vuoi fare da grande?!”, questo no, mai…
Mi devo reinventare, ma non ci riesco, comunque resto sempre legato alla condizione di malato, anche se sto vivendo a 1 metro sopra terra.
Qualche anno per capire, qualche anno per “tornare al mondo”.

Alan impegnato sul canalone Neri
Canalone Neri Gruppo di Brenta

Poi un giorno, decisi che dovevo fare di più, dovevo farmi un regalo, un qualcosa da conquistare da me, una sorta di “adolescenza non vissuta”, così ho iniziato a camminare in montagna, a scoprire questo fantastico mondo che mi circonda.
Ho iniziato davvero con poco, la salita sulla montagna di casa, che all’inizio era una corsa contro il tempo, ogni volta volevo metterci di meno, volevo arrivare lassù più presto possibile per fermarmi e ammirare, quello che non avevo mai visto fino a quel momento, nonostante io sia uno nato tra i monti.
Da quelle salite poi si aperto un mondo incredibile, quasi impossibile da immaginare da laggiù, è qualcosa a parte, è quasi divino.
Ho subito pensato che dovevo iniziare a conoscerla in tutte modalità questa montagna.
Iniziai con le ferrate, poi l’arrampicata, ma questo non mi dava sufficiente entusiasmo, io volevo viaggiare, con la mente, con l’anima e così ho iniziato ad allenarmi di più, perché volevo durante i week end stare in montagna il più tempo possibile, senza dover tornare a casa.
Acquisito un giusto allenamento e una giusta conoscenza della montagna ho iniziato a fare quello che appagava di più i miei desideri, correre in montagna, passare le giornate a fare su e giù per cime, laghi e creste, tutto questo mi ha portato in un periodo di vita che ha toccato senz’altro l’apice.
Le ferie? a fare trekking, traversate, il tutto esclusivamente in solitaria o al massimo con un amico.
Ho conosciuto la fatica dello scialpinismo e con lei ho passato grandi ed indimenticabili giornate.
Ascensioni a cime che mi immaginavo raggiungere a piedi le ho fatte con gli sci, e per chi sa di montagna questo è una gran soddisfazione.
Sono riuscito a darmi buoni obbiettivi e con la dedizione mi sono preso ottime soddisfazioni. Le ho perseguite per un solo ed unico scopo, l’amore per la montagna e far vedere a chi ancora vive in una situazione di malattia, che se ci si crede, le cose si possono fare, con dedizione e si, anche un pizzico di fortuna.

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